Strategie di investimento: meglio la gestione attiva o passiva?
di Enrico Zuccato | pubblicato il 1 marzo 2024
Quali sono le differenze tra gestione attiva e passiva? La gestione attiva presuppone un continuo adattamento agli scenari di mercato e scelte precise da parte del gestore; la gestione passiva replica meccanicamente un indice.
Negli ultimi anni la concorrenza tra fondi e ETF è aumentata, con i secondi che hanno guadagnato sempre più spazio sul mercato. Questo soprattutto nel mercato americano, dove il gran numero di transazioni fa si che il processo di formazione dei prezzi sia molto efficiente ed esprima valutazioni molto realistiche all’interno di una economia forte e omogenea.
Ma quali sono concretamente le differenze tra queste due strategie?
Tutti hanno un indice di riferimento ( benchmark ) composto da un paniere di titoli azionari o obbligazionari che viene assunto come riferimento. Mentre gli ETF si limitano a replicarlo, i fondi e le Sicav tentano di fare meglio ossia di creare Alfa. Il gestore attivo ha essenzialmente due strumenti sui quali far leva:
- La selezione dei titoli che consiste nello scegliere in maniera personale i titoli da mettere in portafoglio;
- La ripartizione degli attivi (asset allocation) ossia creare una diversa e distinta esposizione alle varie aree geografiche, ai settori e ai fattori di mercato (Value, Growth, Small Cap, etc.)
Quale dei due stili si comporta meglio? La risposta non è così semplice poiché dipende da molti fattori tra cui la volatilità dei mercati. In linea generale nei mercati più efficienti e sviluppati indicizzarsi passivamente può essere vantaggioso. All’opposto in mercati poco trasparenti e disomogenei come i mercati emergenti o settori specifici è più vantaggioso gestire attivamente i portafogli con scelte nette.
Per i gestori attivi le sfide sono quelle di confermare la validità dell’operato nel lungo termine e non solo in particolari situazioni di rialzo o ribasso dei mercati. Nelle strategie passive la mancanza di discrezionalità invece azzera i rischi delle scelte strategiche e allo stesso tempo non consente di gestire i rischi.
Analisi di Bloomberg per il 2022 su fondi passivi e attivi evidenziano come negli Stati Uniti, negli ultimi 10 anni, poco meno del 20% dei fondi attivi a grande capitalizzazione abbia sovraperformato l’indice S&P 500.
Nel caso in cui un investitore avesse acquistato un ETF su S&P 500 al minimo del marzo 2020 avrebbe più che raddoppiato il suo denaro a gennaio 2022. Difficile far meglio su quel mercato per qualsiasi gestore attivo. Nella prima metà del 2023, viceversa, il 58% dei fondi comuni a grande capitalizzazione ha fatto meglio dei propri benchmark poiché i gestori attivi sono riusciti a sottopesare i grandi titoli tecnologici che sono crollati con l’aumento dell’inflazione e i rischi di recessione.
Quindi ha senso scegliere tra attivo o passivo?
I due stili sono complementari e possono tranquillamente coesistere in un portafoglio d’investimento ben diversificato. Anzi, oggi esistono strumenti che presentano mix di gestione attiva e passiva che possono diventare molto interessanti per adattarsi a situazioni particolari di stress di mercato.
E’ importante ricordare anche gli aspetti fiscali degli ETF: i redditi derivanti da plusvalenze e da dividendi sono considerati redditi da capitale e vengono tassati con un’aliquota del 26%.Le minusvalenze su ETF sono considerate, invece, nella categoria dei redditi diversi. Esse non possono essere portate in detrazione di altri profitti (plusvalenze) da ETF, ma possono andare a compensazione di guadagni derivanti da altri strumenti di investimento appartenenti alla stessa categoria di reddito, come ad esempio azioni o obbligazioni.
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